Nella magnifica zona dell’Alto Monferrato, in quella parte collinare della provincia di Alessandria che si stende sotto l’autostrada Torino-Piacenza, si trova la cittadina di Acqui Terme che può vantare una storia antichissima, la cui origine è avvolta addirittura dalle leggende.
L'ho visitata in un solo giorno, troppo breve per approfondire meglio ciò che ho potuto ammirare e magari regalarsi anche una piacevole sosta alle terme. c
da Internet:
Le prime tracce di un abitato sono da riferirsi al periodo Neolitico (5500-3500 a.C.), durante il quale è certa la presenza umana; in seguito nell’Età del Bronzo vi fu la presenza dei Liguri Statielli, che fondarono il centro chiamato Carystum. Le leggende invece danno l’origine della fondazione addirittura a una colonia di Greci, qui venuti a vivere per la fama delle sue acque miracolose.
Sicuro è che alla conquista dell’insediamento avvenuta da parte del console romano Marco Popilio Lenate nel 173 a.C., Acqui Terme, di cui stiamo parlando, era già famosa per le sue calde acque ricche di minerali. Quando nel 109 a.C. la colonia di Acquae Statiellae venne collegata con le altre province dalla via Aemilia Scauri, la città vivrà uno sviluppo e una fioritura incredibili, che continueranno per tutto il periodo Romano.
Le ricerche archeologiche confermano l’immagine di una città monumentale, con enormi impianti termali, un teatro, un anfiteatro, empori commerciali e uno spettacolare acquedotto in parte sopraelevato, in parte interrato, lungo quasi tredici chilometri. Lo scrittore latino Gaio Plinio Secondo nomina le sorgenti termali di Acqui fra le più importanti del mondo romano, insieme a Pozzuoli e Aix-en-Provence. In questo periodo la città visse in questo modo un’età veramente aurea.
Alla fine del IV secolo d.C. venne nominato il primo vescovo e grazie alla sua presenza e alle terme, la città sopravvisse intatta durante il periodo Goto (come dice Cassiodoro), Longobardo (secondo Paolo Diacono) e Franco. A cavallo del nuovo millennio ricevette un diploma imperiale da parte dell’imperatore Ottone II, e venne costruita la Cattedrale, consacrata dal vescovo San Guido nel 1067; in seguito entrerà a far parte della Marca del Monferrato ed infine, nel 1708, del Piemonte sabaudo.
Alcune foto della tante che ho scattato
da Internet
Per effettuare una visita dei resti storici della città antica, conviene partire dalla cima della collina per visitare il Castello dei Paleologi, signori del Monferrato. Fondato dai vescovi nel 1056, venne completamente rifatto dai nuovi proprietari alla fine del ‘400, ed ancora dai Gonzaga nel XVII secolo; come piazzaforte militare era però inadatta alla guerra condotta con armi da fuoco, e quindi fu conquistata più volte nel corso della sua storia. Oggi è sede del Museo Archeologico, nel quale sono raccolti i ritrovamenti della storia più antica: le prime due sale sono dedicate alla preistoria e all’età del ferro, le tre successive all’epoca romana, mentre l’ultima contiene resti medievali.
All’uscita della fortezza, si comincia a scendere percorrendo le vie antiche fino a raggiungere piazza Duomo, dove si trova la Cattedrale di Maria Assunta, originariamente di impianto romanico a tre navate, rifatta però completamente tra il XVI e il XIX secolo.
Passando davanti allo Stabilimento Termale Nuove Terme, realizzato nel 1870 con l’omonimo albergo e recentemente restaurato, si arriva a una delle direttrici fondamentali della città, costituito da corso Bagni.
Grand Hotel Terme
Purtroppo, non siamo riusciti visitare l'acquedotto romano poiché causa ritardo dovuto al traffico autostradale i tempi sono stati stretti
Il Trittico è uno dei capolavori della pittura europea del Quattrocento ed è dipinto con la tecnica della pittura ad olio, innovativa per l’epoca, quando in Spagna e in Europa si continuava a dipingere prevalentemente con la tempera e pochi erano in grado di utilizzare la nuova tecnica come i maestri fiamminghi, Jan Van Eyck, Van Der Weiden e Memling. In Italia originali interpreti di questa nuova arte sono, tra gli altri, Antonello da Messina, Piero della Francesca, Bellini e Botticelli, mentre in Spagna è solo il Bermejo ad essere in grado di utilizzare pienamente il nuovo mezzo pittorico. La sua arte risente fortemente della pittura fiamminga per l’estrema cura dei dettagli, per la minuta rappresentazione degli oggetti, per la resa cromatica – in particolare quella dei metalli – e per la composizione, seppur con un’interpretazione più mediterranea degli schemi nordici.
Il Trittico è uno dei capolavori della pittura europea del Quattrocento ed è dipinto con la tecnica della pittura ad olio, innovativa per l’epoca, quando in Spagna e in Europa si continuava a dipingere prevalentemente con la tempera e pochi erano in grado di utilizzare la nuova tecnica come i maestri fiamminghi, Jan Van Eyck, Van Der Weiden e Memling. In Italia originali interpreti di questa nuova arte sono, tra gli altri, Antonello da Messina, Piero della Francesca, Bellini e Botticelli, mentre in Spagna è solo il Bermejo ad essere in grado di utilizzare pienamente il nuovo mezzo pittorico. La sua arte risente fortemente della pittura fiamminga per l’estrema cura dei dettagli, per la minuta rappresentazione degli oggetti, per la resa cromatica – in particolare quella dei metalli – e per la composizione, seppur con un’interpretazione più mediterranea degli schemi nordici.
Il Trittico riporta ad ante chiuse la “Annunciazione” monocroma, in grisaille,
ma come uno scrigno di preziosi, mostra la sfolgorante bellezza dei suoi colori quando viene aperto.
Davanti a questo “colpo di teatro” non si può che rimanere ammirati ed estasiati.
Qui risplende, soprattutto, la tavola centrale, che raffigura la dolcissima figura della Vergine con il Bambino assisa sopra la lama di una sega da falegname piantata nel terreno. Questo originale sedile è una chiara allusione al santuario mariano presente sullo sfondo, quello del Monastero di Montserrat, in Catalogna. La parola Montserrat significa infatti “monte seghettato”, perché tale pare da lontano il profilo delle montagne che circondano il Monastero.
da INTERNET
Francesco Della Chiesa viene rappresentato ai piedi della Vergine, inginocchiato in preghiera, e indossa una cappa nera con un colletto di velluto. Tra le mani ha un libro sul quale è miniata la preghiera della Salve Regina:
la Vergine è infatti raffigurata come regina, con un bellissimo volto, contornato da un velo trasparente, e presenta sul capo una splendida corona, ricca di pietre preziose e di perle.
Nella perfetta rappresentazione dell’oro, dei tessuti e dei ricami, si riconoscono le caratteristiche innovative della pittura ad olio fiamminga, capace di minute raffigurazione del reale.
Il Bambino tiene in mano una cordicella alla quale è legato un cardellino.
Oltre alla piacevolezza del gioco infantile, potete coglierne il simbolo del martirio di Gesù: il cardellino avrebbe la macchia rossa del sangue di Cristo per essersi avvicinato a Lui sulla croce.
Inoltre si può ravvisare in quest’immagine anche il simbolo dell’anima che sopravvive alla morte: la tensione drammatica della scena sembra risolversi nello sguardo di Maria che, piena di grazia, guarda benevola il donatore che a Lei si rivolge in preghiera.
Lo sfondo naturale è eccezionale per la pittura dell’epoca e dimostra la straordinaria capacità del Bermejo di rendere con vivezza ogni minimo particolare: dai fiori alle costruzioni,
dalla marina alle navi mercantili.
Gli sportelli laterali sono stati invece affidati da Francesco Della Chiesa ai pittori valenciani, Rodrigo e Francisco Osona, incaricati di portare a termine l’opera quando Bermejo fu probabilmente chiamato in Aragona a completare altre opere. Nello scomparto di sinistra sono raffigurati la “Nascita della Vergine” e “S. Francesco” che riceve le stimmate,
mentre in quello di destra si ammira la “Presentazione del Gesù al tempio” e “S. Sebastiano”.