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14 dicembre 2023

Il Beato Angelico a Milano, Museo Diocesano

 ANDAR PER MOSTRE... e non mi stanco di far avvicinare tutti all'Arte.

È di Beato Angelico il “Capolavoro per Milano” del Museo Diocesano
Dal 28 ottobre in mostra ai Chiostri di Sant'Eustorgio a Milano l'anta con le Storie dell'infanzia di Cristo dell'Armadio degli Argenti, realizzata attorno al 1450 dal frate domenicano pittore. Un'opera splendida e ricca di significati simbolici e teologici, che accompagnerà l'Avvento e il Natale della Diocesi ambrosiana, fino al 28 gennaio 2024.
di Luca Frigerio
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Da web
Dettaglio delle Storie dell'infanzia di Cristo dell'Armadio degli Argenti di Beato Angelico (1450 circa)Dettaglio delle Storie dell'infanzia di Cristo dell'Armadio degli Argenti di Beato Angelico (1450 circa)
il Museo Diocesano «Carlo Maria Martini» ha già pensato al “regalo” per tutti noi. Ed è qualcosa di davvero sorprendente: un dono di tale bellezza che fa sobbalzare il cuore dall’emozione. Dal 28 ottobre, infatti, per la fortunata manifestazione «Capolavoro per Milano» (giunta ormai alla sua quindicesima edizione), da Firenze arriverà nei Chiostri di Sant’Eustorgio (corso di Porta Ticinese, 95) un’opera straordinaria: lo scomparto dell’Armadio degli Argenti con le storie dell’Infanzia di Gesù, sublime creazione della maturità del Beato Angelico.
L’Armadio degli Argenti oggi si trova in quel «tempio» dedicato all’arte di Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto Beato Angelico, che è il convento fiorentino di San Marco, diventato Museo nazionale, dove il frate pittore dipinse per i suoi confratelli domenicani le scene della vita di Cristo, una per cella, oltre a quelle negli spazi comuni. L’Armadio, invece, in origine era collocato nella basilica della Santissima Annunziata e, come dice il nome, conteneva i preziosi ex voto offerti alla Vergine lì invocata.
Fu Piero di Cosimo de’ Medici a commissionare questo importante lavoro al Beato Angelico nel 1448. Il maestro, insieme ai suoi allievi, al rientro dal suo primo soggiorno romano, realizzò un’opera di raffinatissima fattura, illustrando ancora una volta gli episodi evangelici, ma «concentrati» sui due sportelli dello stipo, con gusto decisamente miniaturistico: proprio la miniatura, del resto, era arte nella quale il frate eccelleva.
Al Museo Diocesano di Milano, così, si potrà ammirare proprio la prima serie di questi deliziosi riquadri. Accarezzando lo sguardo con i dettagli sorprendenti e con i colori smaglianti dell’Angelico che ripercorrono il mistero dell’Incarnazione, a partire dalle profezie messianiche per poi presentare l’Annunciazione, la Natività di Betlemme, la Circoncisione, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto, la Strage degli Innocenti, fino al dodicenne Gesù tra i dottori. Dove ogni scena è accompagnata da due cartigli: con il testo dei Vangeli, e con il riferimento profetico dell’Antico Testamento.
Anche per questo è evidente che le tavole che compongono l’Armadio degli Argenti – segate improvvidamente nel 1782 per essere vendute: sciagura per fortuna sventata – non sono solo «belle» e «preziose», ma costituiscono un itinerario iconografico di grande profondità, che ripercorre la storia della Salvezza secondo la proposta di meditazione di due santi confratelli del Beato Angelico: Tommaso d’Aquino e Caterina da Siena. Ad esaltare quella «Legge dell’Amore», citata espressamente sullo scudo della figura femminile (che rappresenta la Chiesa) nella scena finale dell’ultimo pannello, che con la venuta di Gesù porta a compimento e supera la «Legge del Timore» della vecchia tradizione.
La grazia e la raffinatezza di questi dipinti rivela la maestria del Beato Angelico. E tuttavia se ne possono apprezzare anche le invenzioni compositive, le soluzioni inedite, gli studi prospettici che dimostrano come il frate pittore sia stato un autentico «traghettatore» dall’eleganza del Tardogotico alla rivoluzione del Rinascimento. Capace di esprimere, fra antichi rimandi e moderno linguaggio, una coinvolgente «geometria spirituale».
Una meditazione per immagini, delicate e toccanti, che accompagnerà il tempo d’Avvento e di Natale, fino al prossimo 28 gennaio, con iniziative e approfondimenti, come sempre, aperti a tutti, ma rivolti in particolar modo a parrocchie e oratori (tutte le informazioni su www.chiostrisanteustorgio.it )




















foto di Carla Colombo



29 agosto 2020

#introbio #villamigliavacca #lacascatadeltroggia #leonardodavinci

Un'altra bella cittadina da visitare in Valsassina è INTROBIO che dista pochissimi chilometri dal precedente borgo di Pasturo.

Oltre ad essere crocevia di numerosi sentieri che portano ai vari rifugi, si può visitare la splendida VILLA MIGLIAVACCA, ORA SEDE COMUNALE.

 Personalmente non ho mai visto nella mia zona una sede comunale così particolarmente attraente 

Dal sito del comune di Introbio 

Tra le Ville di vacanza che punteggiano la Valsassina Villa Migliavacca o Clementina (dal nome della moglie di Antonio Migliavacca, Clementina Ravasio), occupa senz'altro un posto di prim'ordine. Costruita tra il 1911 ed il 1914, fu progettata dall'architetto Ulderico Bottoli di Milano che riprese, secondo il gusto rievocativo dell'epoca, lo stile del Quattrocento milanese, il cui riferimento più immediato rimanda al Castello Sforzesco di Milano.L'edificio, ubicato oggi al centro del paese, non passa inosservato all'interno dell'abitato per il suo straordinario aspetto formale in cui si mescolano armonicamente  elementi del Rinascimento e del Medioevo, per la maestosa struttura che lo fa rassomigliare  ad un vero e proprio castello medievale e per la sua incantevole posizione panoramica al centro di un bellissimo giardino. Il volume dell'edificio è essenzialmente unitario, arricchito da apparati decorativi a graffito con motivi prevalentemente geometrici e lineari da facciate caratterizzate dal largo uso del mattone, filo conduttore che lega la villa, la scalinata coperta e l'alto muro di cinta, creando molteplici effetti  grazie alle numerose disposizioni diverse dei corsi, alternati ora all'intonaco ora ad altri mattoni. la genesi di questa Villa in Valsassina  è ben sintetizzata in una inedita poesia, battuta a macchina e incollata sul retro di un quadro che incornicia un altrettanto  inedito disegno della villa firmato dall'arch. Bottoli. A comporla fu Rico (= Enrico) Migliavacca fratello di Antonio, il 7 dicembre 1912, quando fervevano ancora i lavori di costruzione.

La Grigna in fronte maestosa e ferma
sul verde pian, dai monti circondata
sorge la Casa che l'amore afferma
di nostra stirpe a tutta la Vallata.

D'Antonio l'ideò l'alma legata
al suolo che ci accolse ancor piccini;
al ricordo dei cari che han passata§
lieta ora quassù a noi vicini.


L'eresse l'arte ardita d'una mente
che volle i propri affetti ai nostri uniti,
ricordati quassù eternamente.

Rico Migliavacca

Introbio 7 Dicembre 1912













Molto caratteristico ad Introbio il monumento ai caduti.

L' Iscrizione sormontata da aquila in bronzo: riporta  INTROBIO / AI SUOI FIGLI / MORTI PER LA PATRIA / 1915-1918 / 1940-1945.

Le due lapidi con i nominativi dei caduti della Grande Guerra furono addossate sulla parete destra lasciando quella opposta alle due dei caduti del secondo conflitto mondiale.

Ad Introbio si trova il sentiero per ammirare dall'alto la CASCATA DEL TROGGIA 

Purtroppo non ci è stato possibile percorrere l'intero sentiero, perché ad un certo punto è chiuso da cancelli su ordinanza del sindaco per dissesto ecologico. Ci siamo limitati a vederla la lontano 



la Cascata e Leonardo da VinciRaggiungibile a piedi, è la meta ideale per una breve passeggiata nella natura.


foto di Carla Colombo 




28 agosto 2020

#pasturo #antoniapozzi #poesia

Sul percorso della poetessa milanese Antonia Pozzi, morta suicida a 26 anni. 

È sepolta a Pasturo piccolo borgo della Valsassina Lc,  dove trovava rifugio con I suoi versi fra le montagne della Valsassina. 

Il Cristo in bronzo erge nel piccolo cimitero ai piedi dei monti e la villa di famiglia,conserva una targa a ricordo. 

Inoltre lungo le vie di Pasturo è stato creato un percorso poetico con pannelli e foto dell'epoca della stessa Antonia Pozzi. 

Un piccolo paese raccolto ed accogliente che conserva tacitamente I versi della Pozzi a ricordarla nella sua breve vita.

da WIKIPEDIA


Figlia di Roberto Pozzi, importante avvocato milanese, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi,[1] Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove intreccia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che verrà interrotta nel 1933 a causa delle forti ingerenze da parte dei suoi genitori.

Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell'Università statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo PaciLuciano AnceschiRemo Cantoni, e segue le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert.

Antonia Pozzi

Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi molteplici interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia tedescofrancese e inglese viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in FranciaAustriaGermania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive a contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene.

La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all'università, disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull'orlo degli abissi. Era un'ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili».

Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l'età delle parole è finita per sempre», scrisse quell'anno a Sereni.

A soli ventisei anni si tolse la vita mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante all'abbazia di Chiaravalle: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale»; la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.

È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni. Il comune di Milano le ha intitolato una via.



Nelle stanze lariane
di Antonia Pozzi

di Angelo Sala

«Mi accorgo che tutta la vita di città, di lusso, di movimento non ha lasciato su di me alcuna traccia, non ha per me nessuna importanza, la potrei perdere dall'oggi al domani senza dire ahi!: quel che non posso perdere è questo paese e questa casa, questi costumi di cotonina a fiori che sono più belli di tutte «les toilettes»». Così nel luglio 1938 Antonia Pozzi scrive alla nonna Nena, nipote di Tommaso Grossi.
Il paese a cui si riferisce nella lettera è Pasturo, in Valsassina, dove la famiglia ha una casa di villeggiatura. È la settecentesca villa dei Marchiondi, che i Pozzi hanno acquistato nel 1917, facendone la loro residenza estiva. Antonia Pozzi, alla quale è offerta un'educazione perfetta con le scuole migliori, il pianoforte, l'arte applicata (disegno, scultura), lo sport (sci, nuoto, equitazione, tennis), trascorse ogni anno - a partire dal 1918 - diversi mesi in questa casa. Tale permanenza non fu ininfluente sulla formazione e sulla sua produzione artistica. Lei stessa, in una lettera del 14 aprile 1935 all'amico Remo Cantoni, scriveva parlando della sua casa a Pasturo: «... Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un'immagine poetica. Perché ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli ed uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri... ».
La dimora settecentesca ha subito importanti trasformazioni, soprattutto all'interno. Rimangono il grande portico colonnato su un lato del cortile e il grande loggiato sullo stesso lato della casa, all'ultimo piano. È intatto il giardino, con il fondo il cancelletto in ferro dal quale si accede direttamente alla mulattiera che porta in Grigna. E accanto al giardino scorre ancora il ruscello nei cui suoni Antonia ha trovato a volte riparo e consolazione per la sua anima inquieta.
Nella profondità di questa dimora settecentesca, quasi una sorta di grembo della casa stessa, sono conservati intatti i due locali che furono lo studio e la dimora vera di questa donna dalla breve ma intensissima vita. Non sono un museo - il relativo progetto è un sogno cullato da molti - quanto un percorso di suggestioni nella biografia della grande poetessa lombarda. Ci sono i suoi bellissimi disegni, gli acquerelli e le tempere di quando aveva pochissimi anni; ci sono tantissimi piccoli oggetti accumulati negli anni dei viaggi tra il Mediterraneo e l'Europa; le fotografie delle cose belle incontrate, soprattutto le sculture classiche della tradizione greca e romana; c'è la sua biblioteca, ben ordinata, con intere collane di letteratura europea, molte opere in lingua originale affiancate dagli immancabili vocabolari. Un percorso di memorie tra le piccole grandi cose della sua vita, dove si intrecciano fotografie, diari, lettere. Una tappa intima per contenuti e dimensione, i due locali possono infatti contenere solo poche persone alla volta.
Dalla finestra si vede la Grigna. Un'altra occasione per riattraversare le poesie della Pozzi mettendole in relazione diretta con i luoghi che le hanno ispirate. «...di queste montagne consuete, il sole abbagliante di lassù mi appare come specchiato in un lago placido, piano. Le cose si fanno ricordi, l'amore delle cose nostalgia. Ma è una nostalgia che ha in sé tanta pace: proprio la pace che è nel cuore di chi sta su una riva e vede il cielo riflesso nell'acqua mite. Sto tanto bene qui: è la casa della mia prima infanzia. E in questa stanza ho incominciato a meditare e a soffrire. Qui, in questa solitudine di ogni ora, vengono le anime care dei vivi e dei Morti, e la popolano di presenze silenziose. E forse è proprio l'essere qui, in questo raccoglimento di cella che mi riconduce alla più vera me stessa...» scrive al poeta Tullio Gadenz nella sua ultima estate, quella del 1938.
Per Antonia Pasturo rappresenta il desiderio lacerante di appartenere a un luogo. Lei, che si è sempre sentita fuori posto ovunque, qui ha la sensazione di trovarsi a casa, la casa dell'anima: «Come una radice profonda, su dalla terra segreta dell'anima, risale fino ai miei occhi la luce pensosa...» aggiunge nella stessa lettera a Gadenz.
Le porte della dimora settecentesca di Pasturo, oggi proprietà delle suore del Preziosissimo Sangue, saranno aperte nella giornata del 19 febbraio per la visita che concluderà le manifestazioni di "Buon compleanno Antonia", teatro, poesia, cinema e fotografia in corso al Teatro Franco Parenti di Milano. Chi approfitterà dell'occasione vi troverà conservati anche i suoi album di fotografie, circa tremila. Antonia Pozzi aveva scoperto la fotografia nel 1929, lo stesso anno delle sue prime poesie. Gli album sono un altro importante documento di memoria: ci sono, assieme alle montagne da lei amatissime, tante immagini di Pasturo e della sua gente, le donne al lavatoio, i contadini con i gerli pesanti, i vecchi, il gobbo del paese. E i bambini incantati davanti alla bancarella dei cavallini di cartapesta alla fiera. Se la sua poesia è intimamente segnata dall'urgenza del chiarimento ultimo, la sua fotografia è invece un modo per ritrovare uno sguardo pacificato sul mondo, esprimendone tutta l'infinita bellezza.
Antonia Pozzi fa della fotografia un colloquio silenzioso con il tempo che passa, afferra il primordiale profumo di natura alpina che la affascina, varca la soglia di quell'etereo e invalicabile stacco tra le vicende umane e quelle del puro alternarsi dei cicli naturali. La montagna, così come l'ha sott'occhio e come ce l'ha consegnata con le sue fotografie, non è più solo il dono incomparabile lasciatoci da una serie di millenni trascorsi, dissolti come neve al sole, quando solo la voce potente delle valanghe dominava il silenzio primordiale. La montagna è, per Antonia Pozzi, la scoperta di un lavoro intelligente, meticoloso e metodico, del montanaro di Pasturo. E questo le offre l'occasione irripetibile di condurre un racconto per immagini legato alla gente di queste nostre montagne.
Nei suoi diari, richiamando una passeggiata nei pressi del cimitero di Pasturo, il 10 settembre 1937 scriveva: «... pensare di essere sepolta qui non è nemmeno morire, è un tornare alle radici. Ogni giorno le sento più tenaci dentro di me. Le mie mamme montagne... ». Antonia Pozzi è sepolta - come aveva desiderato - nel cimitero di Pasturo.

v.fisogni






















foto di Carla Colombo 


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