HO visto il film...
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http://it.ibtimes.com/il-caso-spotlight-recensione-del-vincitore-agli-oscar-come-miglior-film-144082
Il caso Spotlight è il miglior film agli Oscar 2016 (vincitori). Di seguito vi riproponiamo la recensione del film, diretto da Tom McCarthy, scritta all'epoca dell'uscita in sala della pellicola. Oltre al premio come miglior film, Spotlight ha vinto anche l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale a opera dello stesso McCarthy e Josh Singer.
Il caso Spotlight: recensione del film vincitore dell'Oscar 2016 (categoria miglior film)
Il caso Spotlight, o semplicemente Spotlight come da titolo originale. Si riferisce al nome del team di giornalisti d’inchiesta guidati da Robby Robinson del quotidiano Boston Globe. Qualche mese prima dell’11 settembre del 2001, al giornale della cattolicissima Boston arriva un nuovo direttore: il silenzioso ma autorevole Marty Baron ( Liev Schreiber). Tra i primi atti del suo nuovo corso c’è quello di affidare al “team Spotlight” l’indagine su alcuni preti in città che hanno abusato di minori. Il team comincia a scavare e trova così una ragnatela oscura di insabbiamenti e connivenze…
L’inchiesta valse il Premio Pulitzer al giornale nel 2003, il regista Tom McCarthy oggi la porta al cinema firmando la sceneggiatura con Josh Singer , script che rimasto per un po’ nella “blacklist” cioè in quel gruppo di storie già scritte ma in attesa di produzione. Era solo questione di tempo ovviamente perchè una storia del genere diventasse racconto cinematografico. Una vicenda densa e grave, di alto impatto sociale. Ora corre agli Oscar 2016 per ben 6 statuette:miglior film, regia, attore e attrice non protagonista (Ruffalo e McAdams), sceneggiatura non originale e montaggio a cura di Tom McArdle.
Proprio negli anni in cui l’inchiesta di Spotlight prendeva forma tra le ultime rotative e gli archivi cartacei, il giornalismo comincia a fare la sua muta, quel cambiamento di pelle che oggi dà i suoi frutti alcuni freschi, altri meno. Al Boston Globe dell’epoca già si temeva la concorrenza “dell’ On Line” e, nel film, una grande pubblicità di un provider sovrasta l’edificio della redazione, come a dire: “stiamo arrivando”. Pure il giornalismo raccontato è cambiato: è diventato una serie tv bella come The Newsroom e passato per film importanti come Truth che vedremo a Marzo in Italia ma già presentato al Festival di Roma. Eppure il giornalismo de Il caso Spotlight si incasella con sobria vivacità nel racconto di un giornalismo di un tempo fa.
Non è di certo un punto a sfavore se come mito cinefilo Spotlight fa riferimento magari a Tutti gli uomini del presidente di Pakula sul “Caso Watergate” con i giornalisti supereroi alla ricerca spasmodica della Verità. Sono una sorta di “avengers” terreni della oggettività, e un management editoriale che, nonostante tutto, li supporta. Con queste premesse McCarthy si fa narratore silenzioso di una vicenda che progredisce con incalzante interesse.
Nelle due ore di Spotlight veniamo trascinati lentamente ma inesorabilmente nel ragionamento di un’indagine, su come da un puntino sporco si scopre una macchia d’olio putrida di silenzi conniventi e scoperchiata pian piano da professionisti e da vittime che hanno deciso di arginare il dolore, spesso taciuto, della loro vita rovinata decidendo di parlare.
Con dialoghi sempre serrati che richiedono una precisa quantità d’attenzione dello spettatore,Spotlight ci porta fra i granelli dell’insabbiamento cercando di farci capire come alcuni uomini, di Chiesa e non, possano ragionare freddamente su determinate azioni abominevoli.
Spotlight procede per progressioni lineari, forse troppo piane, e senza storie private ma solo professionali. Difatti ci sembra un po’ eccessiva la nomination alla regia quando più che altro a fare la differenza linguistica siano tre risorse: il montaggio, la sceneggiatura, le interpretazioni. Tutti gli attori, primari e conprimari, sono eccellenti. Da Michael Keaton terza volta nel ruolo di un cronista aRachel MacAdams, ma migliori tra i migliori sono Liev Schrieber che incide nonostante abbi spazi contingentati nella storia e soprattutto Mark Ruffalo, un attore splendido, coinvolgente nel suo personaggio sempre sbilenco nell’incedere, nel camminare, come se non riuscisse a contenere, nemmeno con la postura, la passione per il suo lavoro, la ricerca della verità.
Tutto questo non avrebbe il senso che prende senza il lavorio di sceneggiatura di Singer e McCarthy che è una gara sobria “a togliere”, ad affinare le parti riducendo al minimo scene madri e interventi sonori, a esclusione del finale tagliente e di un “montaggio-sequenza” sulle note di un canto di Natale che risulta particolarmente caustico nella tela di fatti e narrazioni tessuta dalla pellicola.
È vero che il soggetto di Spotlight è una storia interessante di per sè, è già racconto d’impatto nei suoi fatti e nelle sue concatenazioni. Ma il film “aggiunge togliendo” e ci restituisce un’esperienza di visione dura e potente. Drammatica perchè i fatti che narra sono reali ma anche importante perchè dimostra che esiste ancora un certo tipo di giornalismo che muove e smuove per il bene pubblico. Un giornalismo che ci permette di essere più consapevoli del mondo e di decidere meglio. E in questo caso è veicolato da un cinema di servizio che sa essere di impegno e di coinvolgimento.
Parere personale: Un argomento che già conosciamo ma che vale sempre la pena proporre e riproporre per rendere sempre più a conoscenza di questi abusi i che putroppo sono successi e che succedono tutt'oggi La chiesa non può far finta di prendere provvedimenti e non risolvere questo problema che ormai esiste da secoli. Non è mai troppo tardi!
l film è ben interpretato, veloce e senza sfronzoli. Forse avrei preferito all''interno dell'indagine qualche scena che riporti ai fatti successi (senza ovviamente cadere nei dettagli)
Ma è solo un mio parere che conta poco, visto che il film ha ottenuto l'Oscar come appunto miglior film