Il giorno dopo la festa della donna
desidero occupare questo spazio inserendo la mitica,la grande, la famosa pittrice
ARTEMISIA GENTILESCHI
due parole che l'accompagnano
"PASSIONE ESTREMA"!
Biografia
Nacque a Roma l'8 luglio 1593, primogenita del pittore toscano Orazio Gentileschi, esponente di primo piano del caravaggismo romano, e di Prudenzia Montone, che morì prematuramente[1]. Presso la bottega paterna, assieme ai fratelli, ma dimostrando rispetto ad essi maggiore talento, Artemisia ebbe il suo apprendistato artistico, imparando il disegno, il modo di impastare i colori e di dar lucentezza ai dipinti, come sappiamo dalla testimonianza di un apprendista di Orazio, Niccolò Bedino, che al processo per lo stupro di Artemisia testimoniò che la ragazza aveva dimostrato queste abilità già nel 1609, pur non dipingendo ancora, ma limitandosi a disegnare bozze per la Sala del Concistoro nel Palazzo del Quirinale). Dal processo emerse anche che i primi esercizi di pittura della giovane ebbero per soggetto l'amica Tuzia e il figlio[1]. Tuzia, vicina di casa dei Gentileschi, aveva cominciato la (autoritratto a sinistra) loro frequentazione agli inizi del 1611; il pittore un giorno l'aveva trovata in casa propria ad intrattenere la figlia e, compiaciuto di questa compagnia femminile, l'aveva invitata con la sua famiglia ad abitare insieme, al secondo piano della sua casa in via della Croce[2]. Da quel momento Tuzia divenne inquilina di Gentileschi e compagnia di Artemisia.[3].
Artemisia mostrò quindi ben presto un talento precoce, che venne nutrito dallo stimolante ambiente romano[1] e dal fermento artistico che gravitava intorno alla sua casa, frequentata assiduamente da altri pittori, amici e colleghi del padre[4] (Artemisia fu battezzata da un altro pittore, Pietro Rinaldi, e così i suoi fratelli da altre personalità artistiche di spicco del tempo). A Roma vi era un concentramento di relazioni tra artisti: Artemisia crebbe in un quartiere popolato da pittori e artigiani e il suo ambiente naturale era legato all’arte: tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento Caravaggio lavorava a Basilica di Santa Maria del Popolo e nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, Guido Reni e Domenichino gestivano il cantiere a S.Gregorio Magno, i Carracci terminavano gli affreschi della Galleria Farnese[5]. Poiché lo stile del padre, in quegli anni, si riferiva esplicitamente all'arte del Caravaggio (con cui Orazio ebbe rapporti di familiarità), anche gli esordi artistici di Artemisia si collocano, per molti versi, sulla scia del pittore lombardo[6]. Probabilmente Artemisia conobbe personalmente Caravaggio, che usava prendere in prestito strumenti dalla bottega di Orazio (tanto che Orazio fu coinvolto nelle accuse di diffamazione fatte a Caravaggio dal pittore Giovanni Baglione)[7].
L'influenza del Merisi venne mitigata dall'altrettanta forte influenza del padre: l'apprendistato presso Orazio rappresentò per Artemisia, pittrice donna, l'unico modo per esercitare l'arte, essendole precluse le scuole di formazione[7]: alle donne veniva negato l'accesso alla sfera del lavoro e la possibilità di crearsi un proprio ruolo sociale. Una donna non poteva realizzarsi puramente come lavoratrice, ma doveva perlomeno sostenersi col proprio status familiare; il lavoro femminile non era riconosciuto alla luce del sole, ma si realizzava perlopiù "clandestinamente", come dimostrano i registri delle tasse e i censimenti[8].
La prima opera attribuita alla diciassettenne Artemisia (sia pur sospettando aiuti da parte del padre, determinato a far conoscere le sue precoci doti artistiche) è la Susanna e i vecchioni (1610), oggi nella collezione Schönborn a Pommersfelden. La tela lascia intravedere come, sotto la guida paterna, Artemisia, oltre ad assimilare il realismo del Caravaggio, non sia indifferente al linguaggio della scuola bolognese, che aveva preso le mosse da Annibale Carracci.
La lettera indirizzata alla granduchessa di Toscana Cristina di Lorena da Orazio il 6 luglio 1612 è una prova dell'impegno che il pittore impiegò per promuovere l'attività della figlia[9]; nella lettera Artemisia è descritta con parole di elogio: Orazio afferma che in tre anni ella aveva raggiunto una competenza equiparabile a quella di artisti maturi[10][11]:
« questa femina, come è piaciuto a Dio, havendola drizzata
nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i
principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere. »
Per la critica è stato impossibile non associare la pressione esercitata dai due vecchioni su Susanna al complesso rapporto di Artemisia con il padre e con Agostino Tassi, il pittore che nel maggio 1611 la stuprò: tra l'altro, uno dei due Vecchioni è particolarmente giovane e presenta una barba nera come quella che, secondo alcune fonti, sembra avesse Tassi (ma la sorellastra di lui, Donna Olimpia, ad un altro processo intentatogli contro lo descrisse "piccolotto, grassotto et di poca barba"); l'altro Vecchione ha fattezze simili a quelle ritratte da Anthony Van Dyck in un'incisione raffigurante Orazio Gentileschi. In molti hanno pensato che Artemisia avesse volutamente retrodatato il quadro al 1610 per alludere, attraverso esso, all'inizio dell'oppressione subita da figure troppe ingombranti per la sua esistenza di donna e di pittrice. Durante il processo, Tassi affermò che Artemisia si era spesso lamentata con lui della morbosità del padre, svelandogli che egli la trattava come fosse sua moglie[12]. La datazione dell'opera in passato è risultata controversa anche a causa di fonti discordanti sulla data di nascita di Artemisia: si è scoperto recentemente che Orazio, per impietosire il giudice al processo, mentì sull'età di Artemisia al momento della violenza, attribuendole appena quindici anni (e collocandone la nascita, quindi, nel 1597)[13].
tempo dello stupro, Agostino Tassi, maestro di prospettiva, era impegnato, assieme ad Orazio Gentileschi, nella decorazione a fresco delle volte del Casino della Rose nel Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma[14].Tra le muse e i musicanti raffigurati nella loggetta sembra esserci un personaggio contemporaneo, da molti critici identificato proprio con la giovane Artemisia, quasi a volerne suggellare il debutto artistico[15].
Era frequente che Agostino si trattenesse nella dimora dei Gentileschi dopo il lavoro; secondo alcune fonti, fu lo stesso Orazio a introdurlo ad Artemisia, chiedendo ad Agostino di iniziarla allo studio della prospettiva[1]
Il padre denunciò il Tassi che dopo la violenza, non aveva potuto "rimediare" con un matrimonio riparatore. Il problema è che il pittore era già sposato (e nel frattempo manteneva anche una relazione incestuosa con la sorella della moglie). Del processo che ne seguì è rimasta esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i metodi inquisitori del tribunale. Gli atti del processo (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) hanno avuto grande influenza sulla lettura in chiave femminista, data nella seconda metà del XX secolo, alla figura di Artemisia Gentileschi[16]. È da sottolineare il fatto che Artemisia accettò di deporre le accuse sotto tortura, che consistette nello schiacciamento dei pollici attraverso uno strumento usato ampiamente all'epoca. Una lettura del processo basata sul concetto di stuprum inteso come nella normativa del Seicento si intendeva, e dunque come deflorazione di donna vergine o come rapporto sessuale dietro promessa di matrimonio non mantenuta, è il risultato degli studi più recenti[17].
autoritratto (come martire)
Questa la testimonianza di Artemisia al processo, secondo le cronache dell'epoca:
« Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne »
Una tela, che raffigura Giuditta che decapita Oloferne (1612-13), conservata al Museo Capodimonte di Napoli, impressionante per la violenza della scena che raffigura, è stata interpretata in chiave psicologica e psicanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita.
Dopo la conclusione del processo, Orazio combinò per Artemisia un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, modesto artista fiorentino, che servì a restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente "onorabilità". La cerimonia si tenne il 29 novembre 1612.
Poco dopo la coppia si trasferì a Firenze, dove ebbe quattro figli, di cui la sola figlia Prudenzia visse sufficientemente a lungo da seguire la madre nel ritorno a Roma poi a Napoli. L'abbandono di Roma fu quasi obbligato: la pittrice aveva ormai perso il favore acquisito e i riconoscimenti ottenuti da altri artisti, messa in ombra dallo scandalo suscitato, che fece fatica a far dimenticare (come dimostrano anche gli epitaffi crudelmente ironici alla sua morte).
Tutto ma veramente tutto...:
http://it.wikipedia.org/wiki/Artemisia_Gentileschi#BibliografiaGiuditta e le sue ancelle
Danae
Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1652/53)
...Ammiro la tua bellezza, e sono sotto di essa...
È qui la forza dei quadri della Gentileschi: nel capovolgimento brusco dei ruoli.
Una nuova ideologia vi si sovrappone, che noi moderni leggiamo chiaramente: la rivendicazione femminile." Roland BarthesArtemisia Gentileschi è una delle poche protagoniste femminili della Storia dell'arte europea. Ma è anche la protagonista di una torbida vicenda a tinte fosche o, per meglio dire, "caravaggesche", infarcita di elementi sentimentali, erotici, patetici e fantastici, in una brillante fusione romanzesca, insomma Artemisia è la protagonista ideale del romanzo ideale (e infatti svariati romanzi si sono ispirati alla sua vita).
Certamente la carriera artistica (come qualsiasi altra carriera) è sempre stata pressoché impraticabile per le donne, costrette nei limiti che la società imponeva loro, limiti di natura culturale (assenza pressoché totale di una preparazione scolastica) e familiare (nelle famiglie patriarcali la donna era preposta all'accudimento di tutti i suoi numerosi elementi).
Artemisia Gentileschi, che ebbe modo di fare fruttare il suo talento, è stata una delle poche donne "sfuggite" tra le maglie di questo rigidissimo sistema sociale, tuttavia la sua sofferta vicenda privata si è spesso sovrapposta a quella di pittrice generando molte ambiguità.
Negli anni Settanta la sua popolarità ha raggiunto il vertice soprattutto per via della vicenda che la vide accusare il suo violentatore (al punto da sottoporsi allo schiacciamento dei pollici per confermare l'attendibilità delle sue accuse, cosa che per lei, pittrice, non dovette essere solo un dolore fisico). Artemisia è divenuta così il simbolo del femminismo e del desiderio di ribellarsi al potere maschile: tuttavia questo fatto le fece un grande torto: l'avere spostato l'attenzione (ed averle attribuito un particolare successo) sulla vicenda dello stupro, mettendo in ombra i suoi meriti professionali, ormai ampiamente riconosciuti dalla critica, a partire da Roberto Longhi e dal suo pionieristico articolo del 1916 Gentileschi padre e figlia.
A volte questa lettura "a senso unico" della pittrice ha creato giusti malumori: per Camille Paglia, a volte Artemisia è diventata un'etichetta da utilizzare anacronisticamente per avanzare rivendicazioni infarcite di retorica femminista.
Negli anni Settanta la Gentileschi divenne un vero e proprio simbolo del femminismo internazionale: associazioni e cooperative le si intitolarono - a Berlino l'albergo "Artemisia" accoglieva esclusivamente la clientela femminile - riconoscendo in essa una figura culto, sia come rappresentante del diritto all'identificazione col proprio lavoro, sia come paradigma della sofferenza, dell'affermazione e dell'indipendenza della donna.
Per la nota polemista e leader del movimento femminista internazionale Germaine Greer Artemisia Gentileschi fu la grande pittrice della guerra tra i sessi, affermazione, di fatto, estremamente riduttiva: un pittore con tanto talento come la Gentileschi non può limitarsi a un messaggio ideologico.