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Sul percorso della poetessa milanese Antonia Pozzi, morta suicida a 26 anni.
È sepolta a Pasturo piccolo borgo della Valsassina Lc, dove trovava rifugio con I suoi versi fra le montagne della Valsassina.
Il Cristo in bronzo erge nel piccolo cimitero ai piedi dei monti e la villa di famiglia,conserva una targa a ricordo.
Inoltre lungo le vie di Pasturo è stato creato un percorso poetico con pannelli e foto dell'epoca della stessa Antonia Pozzi.
Un piccolo paese raccolto ed accogliente che conserva tacitamente I versi della Pozzi a ricordarla nella sua breve vita.
da WIKIPEDIA
Figlia di Roberto Pozzi, importante avvocato milanese, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi,[1] Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove intreccia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che verrà interrotta nel 1933 a causa delle forti ingerenze da parte dei suoi genitori.
Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi molteplici interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia tedesco, francese e inglese viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive a contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene.
La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all'università, disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull'orlo degli abissi. Era un'ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili».
Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l'età delle parole è finita per sempre», scrisse quell'anno a Sereni.
A soli ventisei anni si tolse la vita mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante all'abbazia di Chiaravalle: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale»; la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.
È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni. Il comune di Milano le ha intitolato una via.
Nelle stanze lariane
di Antonia Pozzi
di Angelo Sala
«Mi accorgo che tutta la vita di città, di lusso, di movimento non ha lasciato su di me alcuna traccia, non ha per me nessuna importanza, la potrei perdere dall'oggi al domani senza dire ahi!: quel che non posso perdere è questo paese e questa casa, questi costumi di cotonina a fiori che sono più belli di tutte «les toilettes»». Così nel luglio 1938 Antonia Pozzi scrive alla nonna Nena, nipote di Tommaso Grossi.
Il paese a cui si riferisce nella lettera è Pasturo, in Valsassina, dove la famiglia ha una casa di villeggiatura. È la settecentesca villa dei Marchiondi, che i Pozzi hanno acquistato nel 1917, facendone la loro residenza estiva. Antonia Pozzi, alla quale è offerta un'educazione perfetta con le scuole migliori, il pianoforte, l'arte applicata (disegno, scultura), lo sport (sci, nuoto, equitazione, tennis), trascorse ogni anno - a partire dal 1918 - diversi mesi in questa casa. Tale permanenza non fu ininfluente sulla formazione e sulla sua produzione artistica. Lei stessa, in una lettera del 14 aprile 1935 all'amico Remo Cantoni, scriveva parlando della sua casa a Pasturo: «... Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un'immagine poetica. Perché ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli ed uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri... ».
La dimora settecentesca ha subito importanti trasformazioni, soprattutto all'interno. Rimangono il grande portico colonnato su un lato del cortile e il grande loggiato sullo stesso lato della casa, all'ultimo piano. È intatto il giardino, con il fondo il cancelletto in ferro dal quale si accede direttamente alla mulattiera che porta in Grigna. E accanto al giardino scorre ancora il ruscello nei cui suoni Antonia ha trovato a volte riparo e consolazione per la sua anima inquieta.
Nella profondità di questa dimora settecentesca, quasi una sorta di grembo della casa stessa, sono conservati intatti i due locali che furono lo studio e la dimora vera di questa donna dalla breve ma intensissima vita. Non sono un museo - il relativo progetto è un sogno cullato da molti - quanto un percorso di suggestioni nella biografia della grande poetessa lombarda. Ci sono i suoi bellissimi disegni, gli acquerelli e le tempere di quando aveva pochissimi anni; ci sono tantissimi piccoli oggetti accumulati negli anni dei viaggi tra il Mediterraneo e l'Europa; le fotografie delle cose belle incontrate, soprattutto le sculture classiche della tradizione greca e romana; c'è la sua biblioteca, ben ordinata, con intere collane di letteratura europea, molte opere in lingua originale affiancate dagli immancabili vocabolari. Un percorso di memorie tra le piccole grandi cose della sua vita, dove si intrecciano fotografie, diari, lettere. Una tappa intima per contenuti e dimensione, i due locali possono infatti contenere solo poche persone alla volta.
Dalla finestra si vede la Grigna. Un'altra occasione per riattraversare le poesie della Pozzi mettendole in relazione diretta con i luoghi che le hanno ispirate. «...di queste montagne consuete, il sole abbagliante di lassù mi appare come specchiato in un lago placido, piano. Le cose si fanno ricordi, l'amore delle cose nostalgia. Ma è una nostalgia che ha in sé tanta pace: proprio la pace che è nel cuore di chi sta su una riva e vede il cielo riflesso nell'acqua mite. Sto tanto bene qui: è la casa della mia prima infanzia. E in questa stanza ho incominciato a meditare e a soffrire. Qui, in questa solitudine di ogni ora, vengono le anime care dei vivi e dei Morti, e la popolano di presenze silenziose. E forse è proprio l'essere qui, in questo raccoglimento di cella che mi riconduce alla più vera me stessa...» scrive al poeta Tullio Gadenz nella sua ultima estate, quella del 1938.
Per Antonia Pasturo rappresenta il desiderio lacerante di appartenere a un luogo. Lei, che si è sempre sentita fuori posto ovunque, qui ha la sensazione di trovarsi a casa, la casa dell'anima: «Come una radice profonda, su dalla terra segreta dell'anima, risale fino ai miei occhi la luce pensosa...» aggiunge nella stessa lettera a Gadenz.
Le porte della dimora settecentesca di Pasturo, oggi proprietà delle suore del Preziosissimo Sangue, saranno aperte nella giornata del 19 febbraio per la visita che concluderà le manifestazioni di "Buon compleanno Antonia", teatro, poesia, cinema e fotografia in corso al Teatro Franco Parenti di Milano. Chi approfitterà dell'occasione vi troverà conservati anche i suoi album di fotografie, circa tremila. Antonia Pozzi aveva scoperto la fotografia nel 1929, lo stesso anno delle sue prime poesie. Gli album sono un altro importante documento di memoria: ci sono, assieme alle montagne da lei amatissime, tante immagini di Pasturo e della sua gente, le donne al lavatoio, i contadini con i gerli pesanti, i vecchi, il gobbo del paese. E i bambini incantati davanti alla bancarella dei cavallini di cartapesta alla fiera. Se la sua poesia è intimamente segnata dall'urgenza del chiarimento ultimo, la sua fotografia è invece un modo per ritrovare uno sguardo pacificato sul mondo, esprimendone tutta l'infinita bellezza.
Antonia Pozzi fa della fotografia un colloquio silenzioso con il tempo che passa, afferra il primordiale profumo di natura alpina che la affascina, varca la soglia di quell'etereo e invalicabile stacco tra le vicende umane e quelle del puro alternarsi dei cicli naturali. La montagna, così come l'ha sott'occhio e come ce l'ha consegnata con le sue fotografie, non è più solo il dono incomparabile lasciatoci da una serie di millenni trascorsi, dissolti come neve al sole, quando solo la voce potente delle valanghe dominava il silenzio primordiale. La montagna è, per Antonia Pozzi, la scoperta di un lavoro intelligente, meticoloso e metodico, del montanaro di Pasturo. E questo le offre l'occasione irripetibile di condurre un racconto per immagini legato alla gente di queste nostre montagne.
Nei suoi diari, richiamando una passeggiata nei pressi del cimitero di Pasturo, il 10 settembre 1937 scriveva: «... pensare di essere sepolta qui non è nemmeno morire, è un tornare alle radici. Ogni giorno le sento più tenaci dentro di me. Le mie mamme montagne... ». Antonia Pozzi è sepolta - come aveva desiderato - nel cimitero di Pasturo.
v.fisogni
foto di Carla Colombo
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Non so se considerarlo un "bel" film, quello che ho visto "al cinema sotto le stelle", ma sicuramente è da vedere per coloro che amano le biografie e la pittura come me.
"VOLEVO NASCONDERMI" racconta la biografia di Antonio Ligabue, magistralmente interpretato dall'attore Elio Germano, premiato come miglior protagonista al festival di Berlino 2020. Molto valide e suggestive le scenografie della zona Correggio e dintorni negli anni '50 che mi hanno portata indietro negli anni e che riportano un po' anche alla mia campagna brianzola di allora e valido il passaggio dal dialogo in tedesco con traduzione (Ligabue era nato a Zurigo) ed il dialetto emiliano, comprensibile, ma anche qui con traduzione. Senz'altro valido l'immergersi nel mondo di Ligabue che, e non lo sapevo, lui stesso si definiva già Artista, e ne andava fiero.
Non è stato scoperto da morto, ma già in vita aveva avuto l'attenzione di galleristi. Insomma, andatelo a vedere, non rientra nel filone dei film che ti acchiappano, ma senz'altro è un validissimo film.
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